La violenza esercitata sulle donne,ha dichiarato la preside Russo, è una piaga sociale che esiste in tutti i Paesi e che attraversa tutte le culture, le etnie e le classi sociali. Essa è una delle violazioni dei diritti umani più diffusa che nega alle donne il diritto di godere delle libertà fondamentali come il diritto all’uguaglianza, il diritto alla dignità e primo tra tutti, il diritto alla vita.
In Italia sono circa 6milioni e 743 mila le donne vittime di violenze fisiche delle quali il 14,3% vittime di abusi sessuali da parte del partner. Ciò che emerge, infatti, è che il maggior numero di violenze è messo in atto proprio da un uomo che la donna conosce bene.
Nei primi sei mesi del 2013 sono già 66 le donne uccise e, secondo alcune associazioni, questo numero sarà purtroppo destinato a crescere. Sono dati allarmanti che fanno del “femminicidio” un’emergenza nel nostro Paese che va affrontata prima ancora che dal punto di vista giuridico, da quello culturale.
Quasi sempre la dinamica di tanta violenza si spiega dietro una logica di possesso basata su una cultura patriarcale che vede la donna come un oggetto su cui esercitare sopraffazione e potere. Urgono più che mai interventi culturali finalizzati ad abbattere questi stereotipi e la scuola, in questo caso, ha una funzione cruciale. Contrastare la violenza sulle donne significa affrontarla dalla prevenzione.
Spiegarne l’importanza all’interno del contesto scolastico è necessario ai giovani per avere una presa di coscienza sul fenomeno sin dall’inizio del loro percorso formativo affinché possano interiorizzarlo e in seguito, crescendo, ritrovarlo poi all’interno del loro bagaglio culturale.
La presentazione in anteprima nazionale al Piria Di Rosarno del libro Banditi e schiave, scritto a quattro mani dai giornalisti di “Gazzetta del Sud” Arcangelo Badolati e Giovanni Pastore è un chiaro segnale dell’attenzione della Preside Mariarosaria Russo alla scottante tematica del femminicidio; la prof.ssa Vera Violi che ha coocrdinato l’attività, ha evidenziato che si tratta di un testo che per la prima volta, scruta tra le maglie di un fitto intreccio criminale rimasto sinora nell’ombra. Esso offre una ricostruzione del sodalizio stretto tra la mafia albanese e la ‘ndrangheta, attivo soprattutto nella parte Settentrionale della Calabria, divenuta una sorta di “laboratorio criminale”. Nella Sibaritide, – come attestano numerose documentazioni – n’drine e clan albanesi sembrano aver stabilito una pericolosa alleanza, fondata sull’impegno degli schipetari a fornire ai clan di casa nostra, droga e armi in cambio del controllo assoluto sul mercato della prostituzione.
I banditi come dichiara Badolati “sono criminali albanesi riuniti in clan che mostrano i tratti distintivi assai simili a quelli della ‘ndrangheta calabrese: un familiarismo inviolabile sancito dal primato dei vincoli di sangue e dell’appartenenza al territorio;l’omertà e la segretezza; la violenza brutale esercitata per imporsi su aree e regioni anche straniere e distanti dalle proprie.
Le schiave, ha chiarito la prof.ssa Ivana Malara che ha moderato il dibattito,
sono tutte quelle donne che rapite o adescate con l’inganno, vengono comprate, vendute e costrette alla mercificazione del proprio corpo, per produrre danaro col sesso. Sono donne alle quali è stato tolto tutto anche la loro identità. È proprio a loro – come prosegue ancora Badolati – che è dedicato questo saggio.
Nel libro sono riportate le operazioni che hanno portato alla luce il turpe mercato che ruota intorno alla schiavizzazione delle donne straniere in Calabria e nell’intera penisola nonché, le testimonianza di alcune di esse. Dalle loro dichiarazioni sono emersi scenari agghiaccianti. Stappate via dalle loro famiglie e caricate come merce su dei gommoni, giunte in Italia, non possono più tornare in dietro perché tentare di farlo significa morire o essere sottoposte a sevizie di ogni genere. Sono donne che vivono nel terrore non solo per la propria incolumità ma, anche per la sorte dei propri cari che vengono costantemente osservati o addirittura sottoposti a sequestro. Tanta crudeltà è frutto di una cultura millenaria ispirata alle norme del “codice Kanun” o legge della montagna una raccolta di leggi consuetudinarie riconosciute dal popolo albanese.
Si tratta di un antico codice comportamentale che regola il concetto dell’onore, dell’esercizio alla violenza e alla faida e che assicura agli uomini un assoluto controllo sulle donne a tal punto da essere considerate degli oggetti da cui lucrare denaro.Nel secondo e nel terzo momento del codice dedicati rispettivamente alla famiglia e al matrimonio, emerge con chiarezza lo stato di sottomissione in cui versa il genere femminile.
Essere donna in Albania significa non avere diritto ad alcuna eredità dai suoi parenti né sulla casa, essere assoggettata al marito e ai suoi maltrattamenti, essere uccisa se ritenuta colpevole di tradimento e addirittura non potere essere libera di piangere i propri morti.
“La donna dunque, come qualcosa di superfluo, qualcosa da usare, qualcosa da sfruttare”.
Ma le donne ammazzate non sono solo quelle albanesi. Accanto a queste donne senza nome vi sono quelle italiane e calabresi che sono tante e stanno diventando tantissime. Le pagine del volume entrano con forza anche nei femminicidi consumati
in Calabria, alcuni diventati eclatanti come quello della giornalista Maria Rosaria Sessa, di Tiziana Falbo e della giovanissima Fabiana Luzzi che, accoltellata e bruciata viva a Corigliano il 24 maggio del 2013, è in ordine di tempo il delitto più raccapricciante perché, peraltro, compiuto dal fidanzatino, giovanissimo come lei.
A riprova che la crudeltà è una matrice comune di tempi e spazi diversi.Un libro che gli sudenti leggeranno e approfondiranno e che prevede,come momento conclusivo una visita guidata presso la casa editrice Pellegrini.
Non sono mancati momenti di grande coinvolgimento emotivo quando sono state ricordate le donne coraggio del nostro territorio che hanno scelto di cambiare.
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